QUANDO LA NOSTRA GENTE SI RIBELLO' AL FASCISMO E LO SCONFISSE
Alla fine della prima guerra mondiale i cittadini di Doberdò inziarono finalmente a ritornare dai campi profughi a casa, ma il paese era – tranne, forse, una sola casa – completamente distrutto, perciò erano costretti a cercare rifugio temporane nei paesi limitrofi, soprattutto nella vicina Bisiacaria. Su proggetto di Max Fabiani le autorià regionali, in pochi anni, ricostruirono i paesi su tutto il fronte dell'Isonzo. Ma nei paesi rimessi a nuovo, i nuovi confini e l'entrata nel regno d'Italia turbò non poco e non solo la gente di Doberdò.
Dopo avere vissuto per più secoli nel Litorale austro-ungarico che faceva parte di un impero multiculturale, i nostri cittadini si ritrovarono sudditi di uno stato che non distinguendo fra nazionalità e cittadinanza provocò effetti devastanti a tutti i non-italiani. Da subito iniziò una traumatizzante italianizzazione dei nomi e cognomi, nomi di luoghi, città e paesi. Il fascismo che subito dopo si presentò nelle nostre terre in modo particolarmente nazionalista completò l'opera di snazionalizzazione dei cinquecento mila sloveni e croati inglobati nel nuovo sistema statale. Nel 1923 le autorità soppressero la prima classe elementare slovena e gradualmente italianizzarono le restanti classi, stroncarono l'attività del Teatro popolare e nel 1935 proibirono anche la predica slovena durante la messa. I nostri cittadini non riuscirono capire e tantomeno accettare tale maltrattamento e le donne più coraggiose si ribellarono alla progressiva snazionalizzazione fascista cantando canti sloveni in chiesa. L'antifascismo per motivi nazionali (antifascismo irredentista), che fra la nostra popolazione fu prevalente, si saldava nelle fabbriche con l'antifascismo di classe.
Gli operai politicamente impegnati erano attivi nelle cellule cospirative del Soccorso Rosso e del Partito comunista d'Italia sin dalla loro costituzine nei cantieri di Monfalcone. Verso la fine del 1941 alcuni paesani riuscirono a collegarsi anche con il Partito comunista sloveno tramite gli attivisti del Fronte di liberazione del popolo sloveno (OF), organizzazione rispettata e concretamente sostenuta soprattuto dagli operai della vicina Bisiacaria, di Ronchi, Monfalcone, San Canzian, Turriaco. Nello stesso periodo, a Monfalcone un »comitato italo-sloveno« già faceva raccolta di denaro e materiale sanitario per i partigiani sloveni: stavano maturando le condizioni psicologiche e organizzative per un comune fronte antifascista, come lo testimonierà chiaramente la Battaglia di Gorizia.
In seguito alle direttive del Fronte di liberazione, nell'inverno 1941-42 si formarono nei nostri paesi i primi Comitati locali di liberazione nazionale (KNOO) e le Commissioni economiche che operavano in clandestinità durante tutto il periodo bellico con la raccolta di viveri e vestiti, con comizi e la diffusione di materiale propagandistico, con la protezione di partigiani ricercati dai Tedeschi e con un'efficiente rete di informatori. I Comitati (attivi fino ai trattati di pace del 10. 2. 1947) assunsero progressivamente responsabilità civili e militari trasformandosi in un vero e proprio stato nello stato, in »potere popolare« che si adoperava per l'unificazione con la Jugoslavia. I Comitati selezionavano gli adolescenti locali per condurre il bestiame e i carri trainati da buoi, carichi di vario materiale che l'ntendenza Montes, il più numeroso Gruppo di azione patriottico d'Italia, acquistava o requisiva nella Bisiacaria e nella Bassa friulana per i partigiani nella Selva di Tarnova, Voschia e Circhina e che aveva a Doberdò anche la sua caraula con magazzino.
Dopo il crollo del fascismo, nel settembre 1943 giovani e anziani si avviarono im massa da Doberdò per il Fronte di Gorizia. Ancora inesperti e scarsamente armati si unirono con gli ottocento nuovi combattenti della Brigata proletaria ai quattro o cinquemila bene organizzati partigiani sloveni, ma la comune lotta contro fascisti e nazisti proseguì fino alla fine della guerra. L'antifascismo in questa cerniera di popoli diversi esprimeva in diverse lingue la stessa volontà di libertà e giustizia. Questa battaglia è stato il primo scontro partigiano con le armate tedesche in Italia e unico per estensione e durata. Dopo la sconfitta molti combattenti entrarono nelle brigate del IX Korpus o si riorganizzarono nella Brigata triestina.
Soltanto nella Battaglia di Gorizia e in meno di un mese sono caduti 19 cittadini di Doberdò, gli altri sono morti successivamente soprattutto nelle brigate dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia e nella Brigata triestina, nelle Brigate d'oltremare, nella Kosovelova, Župančičeva, Gregorčičeva, Bazoviška e nella Gradnikova brigata che il 1. maggio ha liberato Doberdò nella gioia immensa di tutta la popolazione.
Hanno lasciato invece doloroso e indelebile ricordo:
Il 13 settembre 1943, quando vennero i tedeschi per la prima volta a Doberdò dove in uno scontro a fuoco uccisero due partigiani, incendiarono il Municipio e diverse case e a Marcottini fucilarono quattro combattenti;
Il 22 dicembre 1943, che segna l'inizio dei 40 giorni di terrore del traditore Bleki;
Il 15 gennaio 1944, quando i tedeschi con Bleki a Doberdò torturarono e sterminarono sei paesani e una ragazza di Brestovizza;
Il 20 febbraio 1944, quando i tedeschi circondarono Vallone e Opachiasella, uccisero due paesani e altri due deportarono verosimilmente nella Risiera di San Sabba;
Il 18 aprile 1944, quando i tedeschi circondarono Doberdò e uccisero un paesano davanti tutta la popolazione;
Il 12 ottobre 1944, quando i tedeschi condussero 84 cittadini di Doberdò a Gradisca e 20 di loro deportarono nei campi di concentramento in Germania: in quei campi e nella Risiera di San Sabba trovarono la morte 17 cittadini.
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I combattenti caduti e le vittime per cause belliche che rappresentavano quasi il 6% della popolazione - i loro nomi sono riportati sui monumenti di Vallone, Jamiano e Doberdò e sulla lapide commemorativa di Marcottini - ed i quasi trecento partigiani, combattenti, attivisti e patrioti, riconosciuti o meno, stanno a dimostrare che alla sconfitta del fascismo contribuì ogni nostra famiglia. Il governo italiano rimane invece ancora fermo nella convinzione che »nessuna attività resistenziale e partigiana di rilevante consistenza, fu svolta dalla popolazione di Doberdò del Lago«.
(Vedi Non vogliamo dimenticare!)
Karlo Černic